Il metodo della condivisione
Il bisogno di scrivere queste righe, un canovaccio del ‘cosa è, come si fa’, nasce dalla forte espansione che hanno avuto i gruppi di condivisione promossi da Comunità e Famiglia e dall’esigenza di raccontare un metodo che aiuti la vita dei gruppi. Tutto questo senza togliere quell’originalità e quella creatività che sono insite in tutti coloro che decidono di parlare in prima persona della propria esperienza.
È bene che questa ricchezza possa diventare patrimonio di tutta l’Associazione affinché ognuno possa indossare le “collane di perle” frutto della condivisione del sentire personale.
Premessa: il contesto
I gruppi di condivisione sono uno strumento di auto promozione della famiglia che Comunità e Famiglia mette a disposizione di tutti coloro che sono interessati al suo carisma. Sono sorti, all’origine, come “raggruppamento” delle famiglie e dei singoli che desideravano approfondire l’esperienza delle comunità familiari residenziali (famiglie che vivono vicine in uno spirito di sobrietà, tolleranza, accoglienza, mutuo soccorso). Con il passare del tempo, hanno assunto sempre più caratteristiche di accompagnamento reciproco e aiuto al discernimento personale, di coppia, comunitario.
La parola chiave di questo percorso è DISCERNIMENTO. Con questo termine si intende il guardare dentro di sé per fare chiarezza, per mettere ordine, per evitare la confusione, per gettare luce in zone d’ombra del proprio cammino.
Lo strumento che abbiamo individuato è un metodo basato sull’ascolto dell’altro e sull’assenza di dibattito nella relazione tra i componenti di un gruppo. L’obiettivo è che ognuno possa riuscire a trovare la propria strada di realizzazione familiare attraverso la chiarezza che l’ascolto senza giudizio dell’esperienza altrui può dare.
Le diversità delle storie che si incontrano all’interno di ogni gruppo è lo specchio poliedrico dentro il quale guardare alla propria esperienza, il tempo dell’ascolto degli altri e di noi stessi sono per noi il concepimento di una ricchezza che ci può dare l’arte del discernere.
I gruppi di condivisione non vengono fatti per preparare le persone ad entrare in comunità, ma per aiutare le famiglie ad essere felici vivendo la propria vocazione di sposi, genitori e figli. In questo percorso di ricerca della felicità, l’esperienza delle comunità residenziali rappresenta una delle possibili strade che una famiglia può percorrere e sulla quale è utile condividere aspirazioni e incertezze grazie anche all’esempio delle famiglie che già hanno scelto la vita comunitaria. Se per qualche famiglia la vita comunitaria sarà la propria vocazione, l’avere partecipato ad un gruppo potrebbe essergli d’aiuto.
Il primo incontro e la formazione dei gruppi
I gruppi di condivisione si formano dopo una riunione generale di tutte le famiglie interessate all’Associazione Mondo di Comunità e Famiglia (MCF). In questa sede il Presidente o un suo incaricato raccontano l’esperienza vissuta dall’Associazione e chiariscono quali saranno gli scopi del gruppo di condivisione.
Vengono inoltre illustrate le parole chiave di MCF, i principi statutari e le prospettive per la stessa Associazione e le famiglie.
La riunione delle nuove famiglie si prefigge la nascita di gruppi composti da circa dieci nuclei familiari che siano disponibili ad iniziare un percorso che abbia come finalità la promozione della famiglia attraverso il contatto ed il confronto con MCF: discernere per realizzare la propria vocazione di famiglia.
A tale proposito viene quindi decisa una data di inizio degli incontri e, tendenzialmente, le persone si aggregheranno in gruppi su base geografica; viene inserita in ciascun gruppo una “famiglia comunitaria” e una coppia “tutor” già appartenente al tavolo delle coppie coordinatrici.
Nel corso del primo incontro, dopo l’intervento del Presidente, le persone si presentano in modo sintetico al resto del gruppo. La presentazione deve essere imperniata sul “chi sono…” e sul “perché sono qui…”.
Se le famiglie presenti sono molto numerose, è interessante (e comodo) il metodo di invitare ogni partecipante (lasciando un tempo adeguato di riflessione) a trovare cinque parole che in qualche maniera possano disegnare il proprio profilo individuale, e poi a utilizzare questi termini per raccontarsi al gruppo. Ad esempio: “Mi chiamo ………., ho … figli e sono sposato con ……., abito a ……….. e le cinque parole che ho scelto per raccontarmi sono: faccio lo …, amo …, sono …, …”.
Questo per incominciare ad abituarsi a stare vicini in modo aperto e a condividere in prima persona le nostre individualità.
Fatto il giro delle presentazioni, alle quali partecipa anche la coppia conduttrice del gruppo si passa al pranzo che, per il primo incontro, è al sacco (ogni famiglia pensa a se stessa).
Sedersi insieme intorno ad una tavola – specialmente se ‘condito’ con il metodo della condivisione di ciò che ciascuna famiglia prepara e porta -, diventerà un momento caratteristico della vita del gruppo di condivisione: si chiacchiera, si mangia, si approfondisce la conoscenza, l’eco di ciò che si è sentito nel corso della mattinata si sedimenta, ci si introduce nel momento della conoscenza amicale, si forma quel clima di fiducia reciproca e di collaborazione che sta alla base dell’apertura all’altro.
Nel pomeriggio si illustra come saranno organizzati i successivi incontri.
Una coppia del gruppo di coordinamento dei gruppi di condivisione (la coppia “tutor”) presenta il metodo per la conduzione dei gruppi:
a) ciascun membro del gruppo, a turno, riceve la parola;
b) ognuno parla in prima persona secondo la propria esperienza e la propria visione delle cose;
c) ciascuno affida con fiducia al gruppo ciò che ritiene di dover condividere;
d) il gruppo si impegna a non riferire all’esterno ciò che viene condiviso, se non parlandone in terza persona e a scopo di “edificazione”;
e) nessuno interrompe, né giudica, gli interventi degli altri;
f) non ci si risponde, non si innesca dibattito.
Viene quindi proposta una scaletta di argomenti per i primi 4/5 incontri:
1. conoscenza profonda dei vari componenti del gruppo tra di loro: ogni persona ha un tempo di dieci minuti per parlare al gruppo di sé in prima persona;
2. il lavoro;
3. la condivisione dei beni;
4. l’accoglienza;
5. (un argomento scelto dal gruppo…)
Ogni gruppo di condivisione è invitato – se pur non obbligatoriamente – a seguire questa scaletta, condividendo con gli altri gruppi, in periodiche riunioni di coordinamento organizzate dal “Tavolo” dei gruppi di condivisione, la ricchezza emersa ed eventuali proposte di cambiamento.
I contenuti della scaletta proposta consentono alle famiglie che si avvicinano al mondo dell’Associazione di conoscere e confrontarsi con gli elementi e le peculiarità delle Comunità residenziali (ciascuna con le proprie sfumature); la stessa MCF crescerà grazie ai frutti della condivisione dei gruppi.
Se tra il primo grande incontro e quello successivo una nuova famiglia si dimostra interessata ai gruppi di condivisione, una delle coppie di accoglienza, dopo un incontro di presentazione del carisma dell’Associazione, decide se è opportuno inserirla in un gruppo già avviato, oppure se consigliarle di aspettare il prossimo raduno. Nel primo caso occorrerà avvisare la coppia coordinatrice del nuovo gruppo dell’opportunità di un nuovo inserimento e comunque sarà raccomandato alla nuova coppia di presenziare al primo incontro delle nuove famiglie (quando sarà nuovamente organizzato), perché riteniamo importante che ogni coppia viva questo momento così particolare.
E’ utile segnalare che, per l’animazione e la cura dei bambini, viene organizzato per il primo incontro un servizio da parte dell’Associazione.
L’avvio dei gruppi e la coppia coordinatrice
Nel primo incontro del gruppo di condivisione la coppia “tutor” ha il compito di:
a) avviare l’incontro;
b) ricordare ed esplicitare il metodo della condivisione;
c) salvaguardare il gruppo dal dibattito;
d) contribuire a far nascere la coppia coordinatrice, raccontando quali saranno i suoi compiti.
Nel primo incontro ogni gruppo può decidere di darsi un nome.
Anche la coppia comunitaria, che sarà stabile all’interno del gruppo, partecipa al lavoro, incominciando eventualmente per prima a raccontarsi.
La coppia coordinatrice – scelta dal gruppo, all’interno del gruppo, sulla base della conoscenza del ruolo – è una figura di servizio, che ha il compito di facilitare l’auto conduzione del gruppo secondo il metodo espresso dall’Associazione.
La coppia dei coordinatori si riunirà insieme agli altri coordinatori dei gruppi di condivisione, un paio di volte all’anno, nel “Tavolo” dei gruppi, per riflettere e confrontare le varie esperienze ed esprimere eventualmente proprie particolari esigenze.
E’ opportuno che periodicamente (ogni anno o, meglio, ogni due anni di vita del gruppo di condivisione), vi sia un avvicendamento della coppia coordinatrice; questo per consentire ad altri di vivere questa arricchente esperienza. La coppia coordinatrice uscente rimetterà il “mandato” al proprio gruppo che nominerà la nuova coppia di coordinatori.
Sintesi del metodo di conduzione di un incontro
L’incontro si apre con una preghiera, o – a seconda della composizione del gruppo – con un brano ‘laico’ che possa essere di stimolo alla riflessione. Può essere una frase, una lettura, un canto, una poesia, un’immagine da contemplare legata al tema dell’incontro.
Nel primo incontro questo momento iniziale viene preparato dalla coppia “tutor”, nel secondo dalla coppia coordinatrice e nei successivi viene deciso dal gruppo. Alla preghiera, o al brano, segue un momento di silenzio.
La coppia coordinatrice propone la scaletta della giornata con i tempi di lavoro, si accerta degli assenti, dell’andamento della catena telefonica, chiede se c’è qualche urgenza da inserire in coda nell’ordine del giorno. È importante che si instauri un clima di sereno impegno, collaborazione e partecipazione attiva da parte di tutti.
L’incontro procede con l’ascolto di una testimonianza sull’argomento prefissato per la giornata eventualmente preceduto da un momento di lancio preparato da una coppia del gruppo (per il primo incontro può essere a cura dei coordinatori) come, per esempio, un brainstorming, un disegno, ecc.
La testimonianza può essere portata da una coppia comunitaria, da una persona, ma anche frutto di una lettura, un filmato; il gruppo può esprimere la propria creatività in questo ambito. L’importante è che ciò che viene portato sia un “vissuto”.
Al termine dell’esposizione si lascia uno spazio per le eventuali domande da rivolgere agli ospiti.
Se l’orario lo consente, si passa alla condivisione. Ognuno ha un tempo per sé. Nessuno interrompe, nessuno contraddice. Chiunque interviene lo fa in prima persona. Gli altri ascoltano con attenzione e partecipazione. La coppia coordinatrice interviene solo per segnalare i tempi della scaletta e per far rispettare la regola del non dibattito.
Ciascuno deve sentirsi libero anche di non dire nulla: in questo caso può essere utile condividere le motivazioni del proprio silenzio: il gruppo condivide e fa proprie anche le fatiche dei suoi partecipanti (“condividendo si moltiplicano le gioie e si dividono i dolori”).
Dopo il pranzo (che come già ricordato in precedenza, è un momento di grande importanza) auto organizzato dal gruppo in relazione anche alle risorse della comunità ospitante, all’orario prefissato si riprende con la condivisione. Terminata l’esposizione dell’ultima persona, si lascia un tempo eventuale per un nuovo intervento di chi si sente interessato ad aggiungere qualcosa.
Nel corso della testimonianza e della condivisione, la coppia coordinatrice o una coppia delegata, annota sinteticamente le “PERLE” dell’incontro (meglio se con l’ausilio di un cartellone visibile a tutti durante la compilazione). Poche righe, due parole, un’intuizione, che andranno a formare la COLLANA DI PERLE da leggere alla fine del gruppo e da trasmettere al tavolo dei coordinatori per il tramite della coppia coordinatrice.
Si conclude quindi con la lettura della “collana di perle”, le comunicazioni di servizio, giorno-orario-tema del prossimo incontro, suddivisione delle eventuali mansioni organizzative ed un attimo di preghiera.
Se un gruppo lo ritiene opportuno, la preghiera finale può rimanere fissa nel tempo per determinare un vero e proprio rituale di chiusura.
Nel corso degli anni successivi, fatta salva la fedeltà al metodo, cambieranno i temi sui quali discernere e condividere, che saranno decisi dal gruppo medesimo eventualmente sulla scorta dell’esperienza maturata nell’Associazione grazie ai gruppi precedenti.
Alcuni dei temi fino ad oggi trattati sono stati: – quale malessere ci spinge verso la Comunità – il rapporto tra fede e Comunità – il lavoro condiviso – l’accoglienza e le sue forme – la coppia e la comunità – i figli – il ruolo della donna in comunità.
Ogni gruppo affronterà con il metodo della condivisione gli elementi della vita quotidiana che sembrano importanti nel cammino intrapreso.
Il gruppo non deve temere di ritornare anche sugli stessi argomenti perché sarà come essere inseriti in una spirale virtuosa che permette di alzare o abbassare, a seconda delle necessità, l’approfondimento sul tema.
Il verde è un po’ troppo. Non è possibile renderlo piu’ sfumato?
Ad ogni modo meglio così che senza.
Con tifo Susi