Si è concluso il primo incontro del la triade sulla Genitorialità proposto dal Nido domiciliare La Casa dei bimbi con ACF Toscana e il patrocinio del Comune di Vaglia intitolato “I Primi passi” rivolto appunto a genitori di bambini nella fascia 0/3 anni.
E’ stata una bella occasione per i genitori presenti, alcuni del nido domiciliare ed altri comunque residenti nel Comune di Vaglia che, grazie all’intervento della psicologa psicoterapeuta Nora Massoli, hanno potuto approfondire alcuni aspetti della dimensione emotiva dei bambini molto piccoli.
Le domande sono state interessanti e volte a calare nei propri vissuti di genitori gli aspetti emersi dalla relazione. Il lavoro di gruppo in cui ognuno ha avuto uno spazio per esprimere le proprie riflessioni e il proprio sentire, ha completato l’intervento della psicologa e ha reso possibile un prendere contatto con un metodo un po’ speciale per comunicare qualcosa di sé stessi.
La voglia di approfondire tematiche analoghe è emersa da più genitori che hanno espresso il desiderio di avere altri spazi per poter conoscere meglio l’universo infantile e ricevere degli strumenti concreti di supporto al proprio essere genitori.
I prossimi appuntamenti saranno:
- “Il periodo della scuola dell’infanzia e primaria: “Crescita: le prime autonomie”
Sabato 5 maggio 2012 Presso il Circolo Caselline dalle ore 16 alle 18,30 - Genitori di figli ADOLESCENTI: “Aiutare i ragazzi ad essere se stessi”
Venerdì 8 giugno 2012 Presso il Centro giovani di Vaglia, via bolognese 1259 dalle ore 21 alle 23
Di seguito una sintesi dell’intervento della psicologa Nora Massoli.
Nei primi tre anni di vita si forma il primo nucleo fondamentale della personalità dei nostri bambini. La qualità della relazione affettiva ed emotiva del bambino con le proprie figure di riferimento è estremamente importante. Attraverso la qualità di tale relazione, il bambino infatti strutturerà il modo di “leggere” se stesso, gli altri ed il mondo intorno a sé, costruendo contemporaneamente il proprio concetto di Sé, la propria identità, la propria autostima sulla base delle esperienze relazionali e dei messaggi che gli altri gli rimandano. Una formazione armonica della personalità e del proprio concetto di Sé passano attraverso la capacità di attribuire un giusto significato alle emozioni che fin dalla nascita ci attraversano e ci abitano, la cosiddetta intelligenza emotiva. Difatti, le più svariate forme di disagio psicologico nell’arco della vita traggono origine da un’errata lettura delle emozioni e/o da un’errata attribuzione di significato dell’esperienza emotiva e dalla conseguente reazione comportamentale. Ecco allora che l’alfabetizzazione emotiva dei propri figli diventa un momento imprescindibile del percorso educativo di un figlio. Mai lasciare solo un bambino in preda alla rabbia, o alla frustrazione, o all’impazienza, o al dolore, ma sedersi accanto a lui ed aiutarlo a capire cosa sta succedendo, insegnandogli che le emozioni hanno un nome e stimolandolo a trovare il comportamento più adatto per rispondere a quell’attivazione. Mai prendere in giro un bambino per le emozioni che sente: perché si vergogna o è timido, perché piange e si spaventa per il buio, ad esempio, ma prendere sempre sul serio quello che gli succede, perché per lui in quel momento sta accadendo qualcosa di molto importante ed ha bisogno che il genitore gli stia accanto e lo aiuti a capire cosa lo attraversa e lo scuote con tanta forza.
Il bisogno psicologico fondamentale di ogni bambino (ma anche di ogni adulto) è quello di sentirsi amato ed accettato dagli altri. Sentire che va bene così com’è. Che può essere se stesso, senza dover mettere maschere o modificare quel che è per non deludere le aspettative delle persone a cui vuol bene. Questo vuol dire che ogni qualvolta un bambino si comporta in un modo che riteniamo inaccettabile, il nostro giudizio dovrà essere sul suo comportamento, mai sulla persona. Se al contrario giudicheremo inaccettabile che un bambino provi sentimenti come la gelosia, la rabbia, l’invidia, l’impotenza, la frustrazione (sentimenti di cui nessuno di noi forse andrebbe fiero ma che ciascuno di noi almeno una volta nella vita ha provato), il bambino cercherà di non sentire più questi sentimenti, per non incorrere nella sensazione di non essere accettato e amato quando prova queste cose. Per sentirsi accettato, il bambino inizia ad “amputarsi” parti di sé, negando a se stesso di provare emozioni giudicate dagli altri non desiderabili. Inizia così a sentirsi confuso, inquieto, sente delle cose ma non può riconoscerle come tali perché rischierebbe di perdere l’amore e l’approvazione dei genitori. Perde così la consapevolezza di ciò che gli accade, perde il contatto con se stesso e l’altro diventa il metro di misura del giusto e dello sbagliato. Attende la reazione altrui per sapere se quello che sta provando ed esternando va bene o no. Negare a se stessi parti di sé, sentimenti che invece umanamente contattiamo, significa mettere una maschera, significa perdere il contatto con ciò che avviene dentro di noi. Significa gettare le basi per un possibile futuro disagio emotivo e psicologico.
“Il bambino è psicologicamente libero quando non si senta costretto a deformare ciò che prova al fine di conservare l’affetto o la stima di coloro che hanno una parte importante nella sua vita affettiva, o la stima di sé”.
Carl Rogers
Insegnare ai nostri figli che ogni emozione ha diritto di abitare dentro di loro, che possono sentirsi amabili e accettati anche quando i loro sentimenti non sono quelli che noi genitori ci augureremmo (pensiamo alla gelosia verso il fratellino appena nato), significa insegnare loro ad essere autentici, a non mettere maschere per elemosinare l’accettazione altrui. Ma per insegnare loro tutto questo, dobbiamo per primi noi stessi accettare anche le nostre esperienze emotive meno gratificanti, ma inevitabili. La stanchezza, a volte la frustrazione, o la rabbia, o il senso di impotenza e di fatica che fare il genitore in certi momenti ci può provocare, non sono emozioni che una visione idilliaca della genitorialità concepisce. Ma sono emozioni che ognuno di noi può vivere. Concederselo, senza fingere con noi stessi e con i nostri figli che non sia così, significa costituire un modello di vera autenticità per i nostri figli.
“E’ rispetto al comportamento di un figlio che i genitori nutrono sentimenti, che siano di accettazione o di non accettazione, non rispetto al figlio. I genitori […] non sono tenuti a esprimere sempre e comunque un’accettazione incondizionata. E neppure dovrebbero fingere di averla quando non c’è. Sebbene i ragazzi preferiscano essere accettati, sono comunque in grado di gestire costruttivamente la disapprovazione dei genitori, quando questi inviano messaggi chiari e onesti che corrispondono a sentimenti autentici. Ciò non soltanto faciliterà il compito ai ragazzi, ma li aiuterà a considerare i genitori come persone autentiche: persone limpide e umane con cui è piacevole entrare in rapporto”.
Thomas Gordon
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