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“Fare famiglia” in Italia non è semplice. Remano contro carenza di servizi, precarietà economica, sistema fiscale sfavorevole, come conferma una recente indagine del Parlamento. Eppure le famiglie italiane stanno lanciando nuove strategie di sopravvivenza: dai rapporti con le amministrazioni locali alle associazioni di genitori, fino ai gruppi di “auto-aiuto”.
Di Silvia Pochettino (2008)
Che la famiglia italiana abbia problemi, si sa. I dati della recente “Indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie italiane”, promossa dalla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati, lo conferma: in 15 anni le coppie con figli sono diminuite di un milione (da 10,5 a 9,6 milioni) e, aspetto non trascurabile, le famiglie italiane dichiarano di avere in media un figlio in meno di quello che desidererebbero. Ciò a causa della precarietà economica, della difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, dei limiti di un sistema fiscale sfavorevole ai nuclei numerosi. Il 50% delle famiglie vive con entrate mensili che non superano i 1.800 euro, secondo i dati Istat. E un figlio con meno di 6 anni accresce i costi della coppia di ben il 19,4%. Ma il fattore economico non è l’unico. Va ricordato che in Italia il 77% del tempo dedicato al lavoro familiare è ancora a carico della donna, il tempo medio dedicato dai padri è cresciuto di soli 16 minuti in 14 anni!
Ultimi in Europa
«Il problema di fondo è che non c’è una politica complessiva per le famiglie in Italia» sostiene l’on. Mimmo Lucà, presidente della Commissione Affari sociali della Camera e promotore dell’indagine. «E’ necessario superare gli interventi tampone per arrivare a misure di continuità, trasversali ai diversi settori». Un esempio? «Gli asili nido, oggi abbiamo 200 mila posti disponibili a fronte di 1 milione e 100 mila aventi diritto. Ma anche i consultori, il sostegno alla non autosufficienza e soprattutto le misure fiscali; non è possibile che tasse come l’Irpef o l’Ici non tengano conto del numero dei componenti del nucleo familiare». Rimane il fatto che l’Italia destina alla spesa sociale il 26,4% del Pil a fronte del 31,5% della media dei paesi dell’Unione a dodici e di questi solo il 4,4% va per il sostegno alle famiglie (a fronte dell’8,5% dell’Ue). «La mancanza di fondi è un problema cruciale e la nuova finanziaria è decisamente deludente in tal senso».
Un welfare plurale
Secondo Riccardo Prandini, sociologo della famiglia all’Università di Bologna, però, c’è di più: «Non è solo un problema di percentuale sul Pil. Siamo ancora troppo condizionati da un approccio economicista, dobbiamo rivedere in profondità il paradigma delle politiche familiari, da passive e riparatorie a promotrici di una famiglia protagonista di nuovi legami sociali territoriali». In pratica, dalla famiglia chiusa in se stessa e fruitrice di servizi (che mancano), alla famiglia che in rete con altre si organizza per un maggiore benessere suo e della collettività in cui vive. E fa richieste precise alla politica. Utopia? «Per niente» sostiene Prandini, «esistono centinaia di esempi che funzionano in Italia (vedi box), è il governo che deve accorgersene e incominciare a ragionare nei termini di un “welfare plurale”, costruito dai diversi soggetti del territorio: amministrazioni locali, aziende, banche, associazioni… di cui lo Stato resta il garante».
Alla ricerca di senso
E così, la famiglia italiana ha problemi, ma anche un sacco di potenzialità sottovalutate: «Le famiglie stanno dimostrando un’impensata capacità di resistenza e ri-orientamento nel ricercare stili di vita sensati» sostiene Lucia Bianco nel saggio “Lo sviluppo locale di reti di famiglie”. «Aggregandosi tra loro non solo per affrontare i problemi quotidiani, ma anche per trovare spazi di convivialità, di senso, per costruire legami che aumentino la qualità della vita». Gli esempi vanno dai Consigli per la famiglia all’interno delle amministrazioni locali alla creazione di micronidi, dai gruppi di “auto-aiuto” tra genitori fino alle associazioni spontanee di mamme. Perché «la ricchezza del benessere relazionale sostiene l’economia, e non viceversa».
Il consiglio delle famiglie
L’amministrazione locale della città di Trento ha capito da tempo che le politiche familiari non si possono fare senza le famiglie. Per questo ha avviato «un percorso partecipativo per individuare strategie di tutela e sostegno al “capitale relazionale delle famiglie”» come spiega Violetta Plotegher, assessore alle Politiche sociali della città, «individuando indicatori di “impatto familiare” per le scelte della pubblica amministrazione». In concreto sono nati 15 laboratori territoriali – costituiti da singoli cittadini e famiglie, rappresentanti delle circoscrizioni e associazioni – che hanno lavorato su tre temi: il valore delle relazioni familiari, tempi di vita e tempi di lavoro, stili di consumo familiare. Tutto è sfociato in un’assemblea cittadina dove sono stati presentati i risultati del percorso e le proposte di azione. Esempi? Dalla “card per famiglie”, sostegno concreto ai costi di cura e politiche tariffarie, al riconoscere il diritto al gioco dei bambini nei cortili condominiali, alla realizzazione di una mappatura degli spazi fruibili da famiglie e bambini in città fino all’impiego dello strumento audit nelle aziende, per monitorare le modalità con cui attuano politiche di gestione del personale orientate alla famiglia.
SOS mamma
Andezeno è un piccolo paese in provincia di Torino. Qui fare la mamma non è semplice, come in molti altri paesi simili; conciliare i tempi della scuola dei bambini e poi il nuoto o la pallavolo e il proprio lavoro e la gestione della casa e gli orari dei papà che rientrano dalla città sempre a sera tardi… A raccontare è Maria Franca Buso, che si definisce semplicemente una mamma di Andezeno, ma che è anche la fondatrice di “Sos mamma”, un’esperienza di rete di vicinato rivoluzionaria nella sua semplicità. «Siamo una ventina di mamme, ci aiutiamo tra noi nei problemi quotidiani» spiega «organizziamo momenti di incontro e baby-sitteraggio a turno». Da qualche tempo, poi, hanno avviato un progetto nuovo: fare andare i bambini a scuola da soli, anche i più piccoli. Hanno contattato la protezione civile perché sorvegli le strade più trafficate, e stabilito alcuni punti dove i ragazzini si ritrovano in gruppo. «Sembra incredibile come piccoli accorgimenti come questi migliorino la qualità della vita» continua Maria Franca, «soprattutto per chi ha famiglie numerose. E poi il grande vantaggio è che non ti senti solo».
Strategie di sopravvivenza
Tutto nasce da un ciclo di incontri sui problemi dell’adolescenza. Siamo a Villasanta, cittadina-dormitorio ai confini di Monza, uno di quei posti dove non conosci il tuo vicino di casa. Eppure gli incontri ottengono un buon successo e, grazie all’animazione della cooperativa “Spazio Giovani” di Monza, si creano legami tra i genitori che ben presto passano da fruitori a organizzatori di nuovi cicli. “Ehi, i miei genitori sono cambiati” è il titolo del nuovo progetto lanciato dai genitori stessi che coinvolge sempre più gente sul territorio. Sono prima di tutto momenti di conoscenza: «La solitudine con cui le famiglie spesso si trovano ad affrontare crisi fisiologiche tende ad amplificare i problemi» sostiene Daniele, uno dei partecipanti. Ma anche di aiuto reciproco. «Nel gruppo non si viene giudicati e ci si rende conto che quasi tutti i nostri problemi sono anche quelli degli altri» aggiunge Annamaria. Oggi i genitori si sono costituiti in associazione e, grazie ai finanziamenti della Regione Lombardia, hanno avviato nuovi progetti formativi che coinvolgono anche le scuole elementari e medie, il Comune e altre associazioni locali.
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